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Un’esperienza di viaggio rotariano in Senegal – EDIZIONE SPECIALE DI MAGGIO 2023

A causa della professione cui ho dedicato quasi quarant’anni di vita, coinvolgendo anche la mia famiglia, ho abitato in varie città d’Italia. Il cambiamento non ha costituito per me un peso ma un’opportunità e il Rotary ha rappresentato l’occasione per conoscere persone, usi, abitudini, modi di pensare, culture diverse.

Quando nel gennaio 2021, appena eletto Presidente del Bologna Galvani per il 2022/2023, ho iniziato a preparare la mia annata, sono entrato in contatto con il RC di Dakar Doyen, il Club più antico di tutta l’Africa Occidentale, grazie alla presenza tra le sue fila di un socio italiano residente a Dakar. Insieme abbiamo iniziato la progettazione di un Global Grant per lo sviluppo economico inerente l’attività di pesca, nell’ambito di un piccolo territorio nel sud del Senegal a circa 200 chilometri dalla capitale. Con l’acquisto di attrezzature per l’essiccazione e la refrigerazione si vorrebbero creare le condizioni perché la pesca, da attività destinata all’autoconsumo, si trasformi in un’impresa di trattamento e conservazione del prodotto a fini commerciali.

Questa breve introduzione è l’anteprima del racconto del viaggio che io e Renato Pizza accompagnati da Amelia ed Helene, nostre consorti, abbiamo fatto in Senegal dal 24 aprile al 1° maggio di quest’anno, una volta approvato il Progetto dalla Rotary Foundation e avviato lo stesso con la collaborazione di Action Aid. Lo scopo del viaggio era quello di incontrare i nostri partner nel progetto e le comunità interessate, allo scopo di verificare l’avvio concreto delle operazioni.

Questo viaggio è stato per me un emozione continua sotto vari punti di vista. Non avevo mai attraversato il Mediterraneo per recarmi in Africa e già questo aspetto costituiva per me un punto di partenza non privo di incognite per la durata del viaggio, per il clima, per le abitudini di vita e di alimentazione.

Tutti i miei timori sono però svaniti già dal primo contatto con questo Paese. Appena sbarcati dall’aereo siamo stati accolti da Giovanni Palmieri, il socio rotariano con il quale avevo scambiato mail e videochiamate per due anni. Quello è stato il primo momento emozionante, l’abbraccio con l’amico con il quale avevo condiviso tutte le fasi progettuali con le ansie, le gioie e le preoccupazioni, prima della conferma definitiva dell’approvazione del Progetto da parte della R.F.

L’accoglienza più che affettuosa dell’amico si è tradotta nell’accoglienza festosa dei soci del Club locale, che ci hanno riservato una serata di benvenuto dedicata a noi ed al progetto comune. Per loro è stato un evento eccezionale; le loro consuetudini prevedono riunioni solo per incontri di lavoro senza la convivialità, che viene riservata ai tre o quattro eventi più importanti all’anno. Prima della partenza per Dakar avevo rispolverato i miei antichi ricordi scolastici di francese ascoltando brani e conversazioni in lingua su internet, ma l’emozione che mi ha colto quando mi son trovato a dover rappresentare il mio club in un incontro internazionale è stata grande. Nonostante ciò, il mio discorso di ringraziamento in un francese poco più che scolastico, è stato compreso, senza necessità di traduttori, e apprezzato.

Prima di recarci presso le comunità interessate dal progetto abbiamo avuto modo di fare i turisti per un paio di giorni, visitando Dakar, una città di circa 5/6 milioni di abitanti. La continua espansione urbanistica con nuovi quartieri che accolgono il flusso migratorio di abitanti dalle zone interne verso la capitale per motivi di lavoro, non consente una stima più precisa. La parte storica della città ospita i quartieri residenziali per i ceti emergenti e gli uffici politici ed amministrativi più importanti. Quello che colpisce, ad un primo impatto è la condizione femminile, che a differenza di altri paesi musulmani – nonostante tutto il Senegal conta il 90% della popolazione islamica – appare certamente più avanzata secondo abitudini e costumi occidentali. È raro incontrare donne velate o con il burka, anzi la quasi totalità sfoggia abiti variopinti con colori intensi che risultano anche molto eleganti anche quando sono di modesta fattura. Poi il clima meteo, sembra il regno dell’eterna primavera. Trovandosi Dakar sull’Oceano ed in prossimità del Tropico, la temperatura risulta gradevole – minima 18/20 e massima 28/30 gradi – quasi tutto l’anno ad eccezione dei mesi di piena estate, stagione di piogge persistenti e di caldo afoso. Commovente e a tratti dolorosa la sensazione che ci ha colpito durante la visita a Gorée, l’Isola degli Schiavi, a circa tre chilometri di fronte alla Capitale. L’isola era anticamente luogo di deportazione degli indigeni catturati nell’entroterra dai colonizzatori francesi e dai mercanti olandesi e portoghesi nel Seicento e nel Settecento. I prigionieri stivati in piccolissime celle di detenzione attendevano lì il loro destino: l’alternativa era una vita come schiavi o la morte se ritenuti non adatti alla vendita. Quest’Isola è oggi Patrimonio dell’UNESCO.

Abbiamo, poi dedicato due giorni al contatto con le comunità di pescatori interessate dal progetto Global Grant. Dopo un viaggio via terra e via acqua abbiamo raggiunto queste isolette che fanno parte di un arcipelago sulla foce del fiume Saloum. All’arrivo siamo stati accolti con feste, danze e musica e siamo stati ricevuti dai capi civili e dagli Imam dei due villaggi, ai quali, insieme agli esponenti locali di Action Aid, abbiamo illustrato lo svolgimento del progetto; dopo i nostri discorsi abbiamo assistito al dibattito tra le donne delle due comunità interessate direttamente dal Progetto, in quanto l’attività di pesca viene svolta prevalentemente da personale femminile. Quello che ha stupito noi occidentali europei è stato la dignità, il contegno e l’amor proprio di queste persone che vivono comunque in una situazione di povertà. Nessun mendicante, nessun assalto di bambini alla ricerca di elemosina ma soltanto i loro sguardi sorpresi ed increduli e poi sorridenti nel vedere noi bianchi vestiti in maniera diversa da loro. Gli adulti ci hanno accolto mettendo a nostra disposizione i modesti ambienti adibiti a servizi igienici ma preventivamente sanificati offrendoci la loro ospitalità spontaneamente e in modo cordiale senza vergognarsi della loro condizione di povertà. Da questa visita abbiamo rafforzato la nostra convinzione nell’aiutare queste comunità a sviluppare il mestiere consono al loro territorio, allo stile di vita e alle competenze già acquisite per evitare, soprattutto alle giovano generazioni, il triste destino dell’abbandono del territorio e della migrazione.

Abbiamo dedicato, infine, l’ultimo giorno di permanenza in Senegal alla scoperta della natura e della fauna. Abbiamo visitato una Riserva Naturale vasta circa 3.500 ettari tra baobab, alberi di acacia e strani cespugli pieni di spine. Questa esperienza è stata entusiasmante anche se non c’erano leoni o elefanti come in altri parchi naturali in Africa. Abbiamo avuto modo di osservare da vicino giraffe, zebre, struzzi, rinoceronti, antilopi, bufali, scimmie, coccodrilli e oltre 120 specie di uccelli, tutti allo stato libero. C’erano anche due iene che, essendo carnivore, vivono in una zona recintata.

Altro motivo di stupore la maestosità dei baobab che hanno tronchi il cui diametro può arrivare a 10 metri e l’altezza può raggiungere i 25 metri. Anticamente il tronco, essendo prevalentemente cavo, veniva utilizzato per conservare i corpi dei Griot defunti, i cantastorie, artisti considerati maledetti e non meritevoli di una dignitosa sepoltura religiosa o civile. Dopo l’Indipendenza i resti sono stati portati all’esterno e opportunamente sepolti.

La fine del soggiorno è stata un misto di soddisfazione e di malinconia. Abbiamo goduto di un’occasione unica per conoscere nuovi territori, per apprezzare usi e costumi diversi, per stringere nuovi rapporti nel segno del Rotary. Il senso di malinconia ci ha colto, invece nel dover interrompere questa esperienza dopo pochi giorni; forse il mal d’Africa ha colpito anche noi e la nostra intenzione è quella di ritornare in Senegal al termine del Progetto per rivivere le stesse sensazioni alla luce di nuove esperienze e d’altronde poter testimoniare il conseguimento dell’obiettivo del Progetto.

 

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