Un omaggio alla nostra città a cura del Prof. Franchino Falsetti
Letizia Murat, figlia di Gioacchino e nipote di Napoleone Bonaparte, trovò sotto le Due Torri la sua dimensione ideale. E per più di trent’anni dal suo salotto “governò” le relazioni dell’alta società.
“I legami tra Napoleone e Bologna non furono soltanto di dominio e sudditanza. Maria Anna Bonaparte, detta Elisa, sorella minore dell’imperatore francese, fu sposata al conte Felice Baciocchi, e sepolta con lui in una cappella laterale di San Petronio. Ma pure la nipote di Napoleone, Letizia Murat, ebbe in sorte un matrimonio bolognese.
La sua vicenda comincia dall’esilio di sua madre, Carolina Bonaparte, moglie di Gioacchino Murat, ex re di Napoli fucilato a Pizzo Calabro dopo aver tentato di rimpossessarsi del Regno. Dall’esilio al quale era costretta, Carolina aveva cercato di sistemare la figlia a Bologna, considerata città sicura e strategica per tenere buoni rapporti con la Chiesa. […] Carolina Bonaparte ottenne di far sposare la figlia ventenne Letizia con il marchese Guido Taddeo Pepoli. Un matrimonio di puro interesse per la giovane primogenita c’era la garanzia dei quarti di nobiltà; per il rampollo dell’antico casato bolognese si prospettava invece un’unione di prestigio con un’erede del celebre Imperatore da poco scomparso a Sant’Elena. […] Le nozze furono celebrate a Bologna il 27 ottobre 1823, e per Letizia Murat, fin qui considerata quasi alla stregua di una pedina, cominciò invece un trentennio da protagonista assoluta della vita cittadina. […] Non rinunciò mai a viaggiare, intrattenne relazioni con la miglior società del tempo e trasformò il suo salotto in punto di riferimento per intellettuali, viaggiatori e politici. Descritta dai contemporanei come “bella, dotata di spirito e perfettamente naturale”, la Murat-Pepoli si guadagnò il titolo di “Regina di Bologna”. Cinque anni dopo fu svelato il suo monumento funebre, che ancora oggi è ben visibile in Certosa. […]”
Luca Baccolini, Le incredibili curiosità di Bologna, Newton Compton Editori, Roma, 2021
Spigolature
“Bononia olim, me adulescente, omnis honestae letitiae templum erat”
“Da Montpellier, andammo a Bologna, della quale io non credo luogo più bello e più libero trovar si potesse nel mondo intero. Ricorderai tu bene l’affluenza degli scolari, l’ordine, la vigilanza, la maestà dei professori che a vederli parevano gli antichi giureconsulti.
Ora non ve n’è più quasi alcuno, e il posto di tanti e tali valentuomini nella città venne occupato dall’ignoranza; e a Dio piacesse che penetrata vi fosse come nemica e non come ospite; o come ospite almeno ma non come cittadina o, a quel ch’io temo, come regina vi fosse accolta: a tal punto mi sembra che tutti gettate le armi, si dian per vinti.
E quanta non era allora la fertilità delle terre e l’abbondanza di tutte le cose, per la quale con denominazione fatta già proverbiale Bologna fu detta la grassa? […] Dolce e amaro a un tempo, tu ben te ne avvedi, è per me il rammentare tra queste miserie il tempo felice, nel quale io là mi trovavo fra gli studenti. Entrato già nell’adolescenza, e fatto più ardito che prima non fossi, ai miei coetanei mi accompagnavo, e con essi nei dì festivi camminando a diporto tanto mi dilungavo dalla città che spesso vi si tornava a notte profonda. Pure le porte si trovavano spalancate, e se per caso talvolta erano chiuse non ne veniva fastidio alcuno, perché non mura, ma fragile steccato per vecchiezza già mezzo disfatto cingeva la sicura città, cui in tanta pace non era d’uopo di muro alcuno o di più forte recinto. […]”.
Francesco Petrarca, Lettera all’amico Guido Settimo, arcivescovo di Genova, da Le lettere senili, libro X, lettera II, 1367