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Conoscere la qualità del cibo italiano, per sostenere l’economia del nostro territorio

 

Mai nella storia umana il cibo per una popolazione mondiale sempre crescente è stato non solo così largamente disponibile, ma anche a costi molto bassi per il consumatore, anche se –  il relatore Dr. Duccio Caccioni ci ricorda – a fronte di una quota di popolazione che soffre ancora la fame ve ne sia un’altra, numericamente più consistente della precedente, che è obesa…

Oggi la vera sfida è la qualità del cibo: quale qualità? organolettica? oppure igienico-sanitaria? oppure quella derivante da coltivazioni biologiche e dai livelli residuali di fitofarmaci ammessi nei prodotti che vanno al consumatore?

Non tutti gli stati e le conseguenti regolamentazioni nazionali rispondono allo stesso modo a questo problema. Per potersi alimentare “con qualità” serve una cultura alimentare, che esiste nel nostro paese, anche se questa cultura si sta standardizzando su quanto le grandi imprese alimentari propongono.

Questa cultura alimentare “superiore”, che è quella che ha consentito agli studiosi di arrivare a definire la “dieta mediterranea” come una varietà nell’alimentazione che consente di raggiungere standard di vita media decisamente superiori a quelli di molti altri paesi nel mondo.

Per sviluppare scientificamente il tema si potrebbe argomentare che, nel mondo, vi è una parte della popolazione che si alimenta comprando molte calorie a basso costo e un’altra che ne compra poche spendendo molto. Inoltre nel budget delle famiglie la percentuale destinata all’alimentazione si restringe sempre di più: in Italia in base ai dati Istat la media è del 15%, ma in altri paesi europei è molto inferiore in quanto le famiglie riducono la spesa per alimentazione a favore di altre spese come i viaggi e le comunicazioni o l’intrattenimento: per un’alimentazione di qualità il consumatore dovrebbe invece curarsi di cosa c’è dentro al cibo con cui ci si alimenta.

Accanto quindi ad una qualità igienico-sanitaria ve ne è una “organolettica” derivante dalle modalità con cui si sia arrivati a quella produzione, da quanto sono “sfruttate” le capacità produttive e via dicendo. Tale qualità “superiore”, che forse non sarà “per tutti”, offre realmente al consumatore alimenti qualitativamente superiori e ci consente di promuovere il “saper fare” del produttore. Presidiare ed espandere questa nicchia è la grande opportunità per le esportazioni dell’alimentare italiano.